Storia

storia-headerNel tempo in cui la Patavium romana era nel suo massimo splendore, nella zona in cui ancora oggi sorge la Basilica e il Monastero di S. Giustina, c’era uno o più sepolcreti dell’aristocrazia pagana e un cimitero cristiano. Qui il 7 ottobre del 304 fu deposto il corpo della giovane Giustina, messa a morte perché cristiana, per sentenza dell’Imperatore Massimiano, allora di passaggio a Padova.
Poco dopo il 520, ad opera di Opilione, prefetto del pretorio e patrizio, sorse la prima Basilica con l’attiguo Oratorio, decorata di marmi preziosi e di mosaici. Se ne ha una descrizione nel 565 in Vita S. Martini, Libro IV, 672-670, di Venanzio Fortunato.
La Basilica cimiteriale oltre alle spoglie della Patrona della città e diocesi, fu arricchita di corpi e reliquie di molti santi, luogo di sepoltura prescelto dai vescovi. Divenne così, già nel secolo VI, meta di pellegrinaggi dal momento che il culto di S. Giustina era ormai diffuso nelle zone adiacenti al litorale adriatico. Bisogna risalire al 971 per avere notizie certe circa la presenza dei monaci benedettini neri a S. Giustina, e questo per merito del Vescovo di Padova Gauslino, il quale col consenso del suo Capitolo ristabilì un monastero sotto la Regola di S. Benedetto, dotandolo di beni territoriali, di chiese e cappelle in città e in campagna. Iniziò così lo sviluppo progressivo operato dai monaci, che tanti benefici apportarono a tutto l’agro padovano con le bonifiche terriere che trasformarono le immense paludi e le sterminate boscaglie in distese di fertilissime campagne.
Continuazione…

Arte

SANTA GIUSTINA

Il martirio di Santa Giustina, Veronese

Il martirio di Santa Giustina, Veronese

Illustre per natali, ma più ancora per il suo cristianesimo, la sua mente pura  seppe conseguire la palma di altissima vittoria, il martirio. Trovandosi a Padova sua patria, vi sopraggiunse il crudele imperatore Massimiano, il quale   nel Campo Marzio istituì un tribunale per uccidere i Santi di Dio. La beatissima Giustina  mentre si affrettava a visitare i servi di Dio, fu sorpresa dai soldati presso Pontecorvo e portata al cospetto di Massimiano. Dopo una serie di domande sprezzanti circa la sua fede cristiana, e l’invito con minacce a sacrificare al grande dio Marte, di fronte alla costanza e alla fermezza della sua fede in Cristo, il crudele imperatore, preso da ira, emanò la sentenza: “Giustina,  afferma di rimanere vincolata alla religione cristiana; e non intende obbedire alle nostre ingiunzioni, comandiamo che sia uccisa di spada.” Ciò udendo, la beata Giustina esclamò: “Ti rendo grazie, Signore Gesù Cristo, che ti sei degnato di ascrivere nel tuo libro la tua martire. (…) accogli la tua ancella nel grembo tuo, che siedi nel trono, mia luce, perla preziosa, che sempre ho amato.”

Rievocazione del martirio

Rievocazione del martirio

Finita la preghiera, piegate a terra le ginocchia, il sicario le immerse la spada nel fianco. Così trafitta, fattosi il segno della santa croce, serenamente spirò. Era il 7 ottobre 304. I cristiani vedendo l’ardore della sua fede e la venerabile sua passione, deposero il suo corpo nel cimitero appena fuori Padova, dove attualmente sorge l’Abbazia. (Passio S. Justinae Virginis et Martiris, sec.VI).

LA BASILICA DI SANTA GIUSTINA

Le cupole interne

Le cupole interne

È uno degli esemplari più grandiosi e geniali di libera e ragionata traduzione in stile del tardo Rinascimento, della grande architettura imperiale romana. Nelle varie campate della navata e delle crociere si ripete un unico motivo: una cupola,  insiste mediante pennacchi su un quadrato di quattro arconi a tutto sesto, i quali si scaricano sui sostegni verticali.
Un apporto prettamente veneto è dato alla nostra chiesa dalla molteplicità delle cupole esterne. Un influsso bramantesco permane, forse derivante dal primo progetto del 1501, nelle finestre delle absidi e nei grandi occhi delle navate e della crociera. Gli autori di questo capolavoro che è la Basilica di S. Giustina, sono Andrea Briosco (1517), il cui progetto fu successivamente modificato da Matteo da Valle (1520).

Cupole esterne

Cupole esterne

Santa Giustina rivela un architetto di tanta genialità, da ideare un edificio di smisurata mole e di inusitata architettura, di tanta scienza ed esperienza, da affrontare e risolvere a perfezione i difficilissimi problemi di statica, di proporzioni, di prospettiva.

Vista aerea

Vista aerea

Chi sia questo ignoto fino ad oggi non è dato saperlo.

IL CAMPANILE

Il campanile

Il campanile

La parte inferiore, fino alla cornice più bassa, è il campanile antico (secolo XII). Esso constava di una canna cieca a pianta quadrata (sette metri di lato), rafforzata su ciascuna fascia da due lesene a doppia ghiera, continue dall’alto al basso e legate in alto da doppia corona d’archetti, sopra la quale era la cella campanaria, con una bifora per lato; era sormontata da una cuspide.

Statua di S. Giustina

Statua di S. Giustina

Nel 1599, poiché la mole della nuova chiesa impediva alla città di sentir le campane, la vecchia torre fu raddoppiata d’altezza, murando le bifore, togliendo la cuspide, riempiendo i vuoti fra le lesene. L’aggiunta è una bella costruzione, che porta il campanile a circa 82 metri di altezza. Sostiene 7 campane (la più grossa pesa 2 tonnellate e mezzo) del secolo XVIII, le quali, benché fuse in anni diversi e da diversi maestri, formano un magnifico e armonioso concerto, il più bello di Padova.  Dal campanile, guardando la Basilica, sulla cupola centrale si ammira la  statua di rame di S. Giustina in atto di proteggere la città.  Sulle quattro cupolette: statue (in lamina di piombo) dei Santi Prosdocimo, Benedetto, Arnaldo, Daniele diacono.

L’INTERNO

Architettura interna

Architettura interna

Magnifico nella sua austera nudità, solenne ma accogliente, poderoso e slanciato, grandioso eppure raccolto, armoniosissimo nelle perfette proporzioni, nell’equilibrio tra pieni e vuoti, nella lieta, diffusa e ricca luminosità. E’ il trionfo della volta e dell’architettura di massa, alla quale è affidato tutto l’effetto.

Crocefisso ligneo

Crocefisso ligneo

Pur vincolato da precedenti lavori lasciati incompleti, per combinazione di due schemi architettonici diversi, presenta perfetta unità, e pare opera di primo getto. Nel progetto dovevano apparire visibili all’esterno ben sette cupole grandi e quattro piccole, è invece probabile che all’interno tutte (salvo quella centrale) dovessero essere semplici catini: tali son restati nel braccio lungo della navata maggiore; quelle della crociera e del presbiterio furono «aperte» circa il 1605 per consiglio di Vincenzo Scamozzi, per migliorare l’acustica, che divenne, così, perfetta.
La cupola di mezzo fu fatta negli anni tra il 1597 e il 1600; le quattro piccole furono «aperte» anche più tardi di quelle grandi.

Pavimento basilica

Pavimento basilica

Il bel pavimento fu iniziato circa nel 1608 e finito nel 1615; è di marmo di Verona giallo e rosso, e pietra di paragone. Vi sono inseriti, specialmente nei tratti longitudinali fra i pilastri, molti pezzi di marmo greco appartenenti all’antica basilica di Opilione.
Nel mezzo della navata, ammiriamo lo stupendo Crocifisso ligneo (secolo XV). Mirabile la testa per bellezza di tratti ed efficacia di espressione.

LE CAPPELLE

La Pietà

La Pietà

A destra e a sinistra delle navate laterali si dispiegano venti cappelle, dieci da una parte e dieci dall’altra: San Paolo, S. Gertrude, S. Gerardo, S. Scolastica, S. Benedetto, i SS. Innocenti, S. Urio, S. Mattia, S. Massimo, La Pietà, il Santissimo, Beato Arnaldo da Limena, S. Luca, S. Felicita, S. Giuliano, S. Mauro, S. Placido, S. Daniele, S. Gregorio, S. Giacomo.
In ciascuna delle cappelle sono custodite preziose tele di Palma il Giovane, Luca Giordano (1676), Sebastiano Ricci (1700), Benedetto Caliari (1589), Antonio Zanchi (1677), Valentino Le Fevre (1673), Giovanni Battista Maganza (1616), Claudio Ridolfi (1616), Carlo Loth (1678). Scultori come Francesco De Surdis (1562), Bartolomeo Bellano (Sec. XV), Filippo Parodi 1689) hanno contribuito ad arricchire i singoli altari.
Ognuna di queste cappelle ha in comune con quella di fronte, l’architettura dell’altare, la qualità dei marmi, i disegni della vetrata e spesso quello del pavimento. Belle le decorazioni a stucco delle volte.

Cappella S. Massimo

Cappella S. Massimo

Meritevole di particolare interesse è l’altare del Santissimo, che dal 1562 al 1674 accolse i Corpi dei SS. Innocenti; permutati titolo e ufficio con quella primitiva del SS.mo, fu trasformata con armoniosa inserzione del barocco nell’architettura del rinascimento. L’altare, bellissimo esemplare di barocco veneziano, è opera di Giuseppe Sardi (1674), che in perfetta unità di composizione vi pose il grande e bel tabernacolo ideato da Lorenzo Bedoni (1656) ed eseguito da Pier Paolo Corberelli (1656) per la primitiva cappella del SS.mo.

Il Santissimo

Il Santissimo

Le sei statuine di bronzo sul tabernacolo sono di Carlo Trabucco (1697); i putti del basamento del tabernacolo, di Michele Fabris (1674), i due grandi e begli angeli, di Giusto Le Court (1675), le altre sculture, di Alessandro Tremignon (1675), i mosaici del paliotto (i più belli di tutta la Basilica), di Antonio Corberelli (1675). Nel catino dell’abside: l’Eterno Padre circondato dagli Angeli; nella volta della cappella: il SS.mo Sacramento adorato dagli Apostoli: ambedue belle pitture a fresco di Sebastiano Ricci (1700).

S. Luca Evangelista

Non era, come molti credono, uno dei dodici apostoli scelti da Gesù; venne invece citato e lodato più volte da S. Paolo come suo fedele collaboratore nei viaggi che fece per evangelizzare le genti. Luca scrisse il Vangelo che da lui prese il nome, e gli Atti degli Apostoli. Fonti antiche parlano della sua professione di medico ed una tradizione assai diffusa lo presenta anche pittore del volto di Cristo e soprattutto della Madonna. Tra le icone “lucane” una è la  Madonna Costantinopolitana (XI-XII sec.). S. Luca è festeggiato sia dalla Chiesa Cattolica che da quelle Ortodosse il 18 ottobre.

Il sarcofago di S. Luca

Il sarcofago di S. Luca

Il sarcofago di S. Luca è un’opera preziosa di scuola pisana (1313), fatta a cura dell’abate Mussato, gli specchi sono di alabastro orientale; il telaio che li inquadra, di porfido verde: due colonne di granito orientale, due di alabastro. Notare il sostegno centrale formato da quattro angeli, di marmo greco. Le figure dei riquadri sono così ordinate: sul lato minore verso il Vangelo, l’effigie di S. Luca, centro di tutta la composizione; sui due lati, nello stesso ordine: due angeli che portano torce, due angeli turiferari, due buoi (il bue è il simbolo biblico di S. Luca); sulla testata opposta è ripetuto il simbolo dell’Evangelista. Secondo una antica tradizione l’evangelista Luca, originario di Antiochia di Siria e morto in tarda età (84 anni), sarebbe stato sepolto nella città di Tebe. Da lì le sue ossa furono trasportate a Costantinopoli dopo la metà del IV sec. e da qui nel corso dello stesso secolo o dell’VIII , trasportato a Padova nel Monastero di Santa Giustina. I monaci benedettini insediatisi nel nostro Monastero prima del 1000 iniziarono a venerare le spoglie dell’Evangelista. Nel 1354, l’imperatore Carlo IV di Lussemburgo, re di Boemia, si fece consegnare il cranio che finì nella cattedrale di San Vito a Praga dove si trova ancora oggi. Nel 1436 fu affidata al pittore Giovanni Storlato l’incarico di rappresentare, sulle pareti della cappella dedicata al santo, una serie di scene che ne narrano la vita, il trasferimento delle reliquie dall’Oriente e il suo ritrovamento a Padova.     Un secolo più tardi, nel 1562, si trasferì l’arca marmorea nel braccio sinistro del transetto, nell’attuale Basilica. All’approssimarsi del Grande Giubileo del 2000 il Vescovo di Padova, anche per motivi ecumenici, nominò una commissione di esperti per avviare una ricognizione scientifica delle reliquie di San Luca. Il 17/9/1998 fu aperto il sarcofago e si trovò in una cassa di piombo sigillata uno scheletro umano in buono stato di conservazione. I risultati definitivi delle indagini sono stati presentati nel Congresso Internazionale, svoltosi a Padova nell’ottobre dell’anno 2000.   I dati scientifici – come è stato affermato al termine di quelle giornate, non smentiscono la tradizionale attribuzione a S. Luca delle spoglie; si pongono piuttosto come dati precisi, complementari alle fonti scritte, attorno a cui l’indagine storica potrà muoversi con maggiore sicurezza, soprattutto per chiarire come, quando e perché sia avvenuta la traslazione del corpo da Costantinopoli a Padova

LA MADONNA COSTANTINOPOLITANA

Madonna con angeli

Madonna con angeli

In alto, sul Sarcofago di San Luca si ammira la copia cinquecentesca della «Madonna Costantinopolitana»: bella la pittura e bella la lastra di rame sbalzato e dorato che inquadra i due volti. La cornice di bronzo e i due Angeli in volo di Amleto Sartori (1960). Del medesimo sono gli otto bracci portalampade di bronzo attorno all’abside (1961), e il disegno del piccolo coro. L’ambone e il portacero in bronzo a sinistra dell’altare di Giancarlo Milani.
I documenti in nostro possesso segnalano la presenza della Immagine della Madonna Costantinopolitana nel Monastero di Santa Giustina a partire dal XII secolo e divenne oggetto di viva devozione popolare. Secondo alcuni studiosi sarebbe l’immagine mariana più antica che si conosca a Padova, di stile nettamente bizantino, venerata e invocata dai padovani come la Salus Populi Patavini.

Icona antica

Icona antica

L’icona si presenta gravemente compromessa, tranne parte del volto della Madonna e del Bambino.  La tavola è danneggiata da evidenti bruciature, che non è dato sapere se provocate da un incendio fortuito o dagli iconoclasti. La provenienza è certamente da Costantinopoli. Nel Cinquecento a un pittore  venne affidata la trascrizione del volto della Madonna e del Bambino su cuoio e tutto il resto fu rivestito da una rizza d’argento dorato e sbalzato con le figure della Vergine e del Bambino. Dietro questa nuova immagine, come in una teca, fu conservata l’icona antica. Mentre il Monastero subiva le trasformazioni dell’occupazione napoleonica, la Chiesa divenne Parrocchia amministrata dal clero diocesano. Il 23 maggio 1909  Mons. Andrea Panzoni promosse l’incoronazione solenne dell’Icona costantinopolitana. Egli intendeva così contribuire alla maggiore valorizzazione del tempio che proprio in quell’anno fu elevato alla dignità di Basilica Minore Romana da Pio X. Nello stesso anno, un primo contingente di monaci, proveniente da Praglia, ritornò nel monastero dopo oltre un secolo dalla soppressione napoleonica e riprese il culto e la venerazione alla Madonna Costantinopolitana secondo la più antica tradizione.

Madonna con riza

Madonna con riza

Ancor oggi, il 23 maggio,- giorno anniversario della sua incoronazione si svolge una solenne e suggestiva processione cittadina in Prato della Valle. Nel 1959 si separò l’icona vera e propria dalla riza di argento dorato e  sbalzato che la proteggeva anteriormente. La riza ha trovato la sua collocazione definitiva in Basilica nel braccio del transetto di S. Luca, sorretta da due angeli (opera di Amleto Sartori, 1960). I volti della Vergine e del Bambino Gesù, dipinti su tela, sono attribuiti a Moretto da Brescia (terzo decennio del XVI sec.). La tavola di legno sottostante fu affidata al restauro del prof.  Lazzarin che sotto una patina di resina bruciacchiata scoprì alcuni frammenti di pittura originale.  Al termine del restauro venne custodita e venerata nella Cappella interna del Monastero. La tradizione che la vuole salvata da Costantinopoli al tempo della persecuzione iconoclasta nell’VIII sec. non regge alla critica storica:fu giudicata del XII sec. circa dal prof. Lorenzoni per alcune caratteristiche stilistiche delle aureole e del mento della Vergine.

IL PRESBITERIO E L’ALTARE MAGGIORE

Scalinata al presbiterio

Scalinata al presbiterio

In origine, secondo l’uso tradizionale, la situazione era inversa: l’altare era in fondo, sotto il quadro (che posava circa due metri più in basso); il coro era dove è ora il presbiterio, e il lato minore volgeva le spalle al popolo, come ora le volge all’abside. La situazione attuale è del 1623; l’inversione, diede al popolo la visibilità delle sacre funzioni.  La scalinata d’accesso e le balaustre sono di Francesco Contini, 1630. Nei pilastri, all’ingresso del presbiterio, a destra ammiriamo il busto del patrizio Vitaliano; a sinistra, il  busto del patrizio Opilione, opere ambedue di Giovanni Francesco De Surdis (1561).
L’Altare Maggiore, bellissimo e semplicissimo (1640) progettato da Giovan Battista Nigetti; il ricchissimo mosaico intarsiato è di Pier Paolo Corberelli. L’altare racchiude il Corpo di S. Giustina.

Mosaico Corberelli

Mosaico Corberelli

Ai lati si ammirano due residenze di noce, opera magnifica di Riccardo Taurigny (1564-1572):  S. Pietro riceve dal Signore le chiavi – battezza Cornelio centurione – il castigo di Anania e Saffira e la Conversione di S. Paolo, la sua predicazione e la sua cattura.

La conversione di San Paolo

La conversione di San Paolo

I parapetti delle cantorìe sono opera di Ambrogio Dusi, 1653. Gli organi attuali (quattro: uno a destra, due a sinistra, l’altro dietro all’ancona) sono opera della Ditta Pugina (1928). Le canne dell’organo attuale di sinistra sono in parte quelle del Nachich e del Callido, che restarono dalla distruzione operata da un fulmine nel 1927. A sinistra dell’altare: candelabro bronzeo per il cero pasquale di Arrigo Minerbi (1953).

IL CORO GRANDE

Coro con leggìo

Coro con leggìo

Il «Coro Maggiore»: uno dei più belli del mondo; ammirevoli: la maestà dell’insieme, dominato dall’immensa ancona dorata; l’adattamento perfetto dell’opera all’ambiente; la euritmia fra i due ordini di stalli, superiore e inferiore, e fra questi e il dossale; l’eleganza e perfezione degli ornati (per esempio, si osservi di scorcio la serie delle cariatidi sorreggenti i braccioli degli stalli; si noti l’elegantissimo dossale, col colonnato di squisite proporzioni, la trabeazione col bellissimo fregio, i bei putti sovrapposti, ognuno in una posa diversa; la varietà e la finezza dei fregi sparsi dovunque). Di grande effetto gli specchi del dossale, con le figure scolpite in pieno rilievo.
arte-9-2L’autore è Riccardo Taurigny, cui si deve non soltanto l’esecuzione, ma anche il disegno dell’opera, che durò dall’ottobre 1558 al luglio 1566. L’artista era di Rouen in Normandia:  nel lavoro fu aiutato da dieci carpentieri e dall’artista Giovanni Manetti. Gli stalli sono 88; la materia, il legno, di noce, ben conservato. Il tema delle figurazioni, elaborato da Eutizio Cordes monaco di S. Giustina e dottissimo teologo, si può enunciare così: «L’opera redentrice di Gesù Cristo prefigurata nel Vecchio Testamento, attuata nella sua vita, applicata all’umanità».
A ciascuno dei fatti della vita terrena di N. S. Gesù Cristo (la Redenzione in atto) rappresentati nei grandi specchi del dossale, corrisponde, in bassorilievo negli schienali degli stalli superiori, un fatto dell’Antico Testamento che è la figura profetica dell’altro; mentre gli schienali degli stalli inferiori portano bassorilievi allusivi: ai Sacramenti, che ci applicano la Grazia della redenzione; ai doni dello Spirito Santo, che ci fanno agire secondo la Grazia, alle virtù che la Grazia produce, ai vizi che la Grazia estingue.

La Resurrezione

La Resurrezione

I banditori della Redenzione sono rappresentati nelle statuine sedute poste sull’inginocchiatoio: due profeti dell’A. T.; i quattro evangelisti; i quattro massimi dottori della Chiesa Latina e si aggiungono, i due titolari della basilica: S. Giustina e S. Prosdocimo.
Questo coro è un esempio dei più grandiosi e completi, di quei cicli figurativi storici e simbolici che il Medioevo ebbe giustamente cari ad istruire nel dogma e nella morale cristiana.

Santa Giustina

Santa Giustina

Il leggìo col cassone sottoposto è opera anch’esso di Riccardo Taurigny (agosto 1566 – luglio 1572); vi sono raffigurati la vita e il martirio di S. Giustina.

San Prosdocimo

San Prosdocimo

Nel cassone e in sagrestia si conservavano preziose collezioni di libri corali egregiamente decorati da illustri miniatori dei secoli XV e XVI. Ne resta oggi solo qualche malandato avanzo (cinque volumi in monastero, altri al Museo Civico). Il bel pavimento è del sec. XVI.

arte-9-6In fondo al coro: il Martirio di S. Giustina: bella opera di Paolo Veronese (1575, firmata); la sua più grande pala d’altare. La cornice nobilissima, forse disegno di Michele Sanmicheli, fu scolpita da Giovanni Manetti, allievo e aiuto del Taurigny: è tutta dorata ad oro di zecchino. Sotto il quadro: bella porta in pietra; nella disposizione originaria chiudeva verso il popolo, in cima alla gradinata.
Nei pilastri sotto le finestre: a destra: David vincitore di Golia; a sinistra: Sansone (sec. XVII). In origine, da questi pilastri sporgevano gli amboni per l’Epistola e il Vangelo, come fu uso costante nella Congregazione di S. Giustina fino a tutto il sec. XVI.
Lunette delle arcate piccole: a destra: Giaele uccide Sisara: tela di Pietro Ricchi (1672); Nadab e Abiud puniti per aver usato fuoco profano: Giovan Francesco Cassana (1672).
A sinistra: Lotta di Giacobbe con l’Angelo: Pietro Ricchi; Abramo riceve i tre Angeli: Giovan Francesco Cassana.
Sotto il presbiterio e il coro si stende una bella e spaziosa Cripta (1562), la cui volta è un capolavoro di statica per la piccolezza della monta rispetto alla corda (m. 2,60 su m.14). Da osservare, incorniciato da una nicchia del muro di fondo, il fonte battesimale di bronzo (Milani, 1964).

La Cripta

La Cripta

CORRIDOIO DEI MARTIRI

Pozzo dei martiri

Pozzo dei martiri

Costruito nel 1564 per unire la Cappella di S. Prosdocimo con la chiesa attuale, è un ambiente di piacevoli proporzioni, con buone decorazioni contemporanee. Qui si può vedere dentro una gabbia medioevale di ferro, la cassa di legno che custodì per qualche tempo (forse dal 1177 al 1316) il corpo di S. Luca Evangelista. Nel mezzo il bel  pozzo (1565), adorno di eleganti decorazioni in niello, sotto il quale, su un tratto di pavimento in mosaico della Basilica Opilioniana, posa il primitivo pozzo del sec. XIII, contenente le ossa dei Ss. Martiri. Sulla destra, sotto vetro è visibile un lacerto di pavimento a mosaico della Basilica paleocristiana (Sec. V- VI)
Sopra il pozzo dei Martiri: pitture della cupola: di Giacomo Ceruti (1750 circa).
In fondo, sull’altare: Il ritrovamento del pozzo dei Martiri, con la miracolosa accensione delle 12 candeline: bella tela di Pietro Damini (1592-1631), piena di ritratti.

Cupola del pozzo dei martiri

Cupola del pozzo dei martiri

Scendendo: il muro a destra è un tratto del fianco meridionale della chiesa medioevale riedificato sulla corrispondente parete della Basilica Opilioniana. Le due bifore sono ricostruzioni (1923) su tenui tracce di due imposte di archi.Porta che immette nella cappella di S. Prosdocimo (1564). Ai lati: statue dei Ss. Pietro e Paolo, di Francesco Segala. Sono due delle undici statue eseguite da lui in terracotta (1564) per la nuova decorazione della cappella di S. Prosdocimo; sono oggi conservate nella Sala rossa all’interno del Monastero.
Sopra la porta, ai lati dell’iscrizione: il pellicano, la fenice: calchi di finissimi bassorilievi in marmo greco del sec. XVI.
Gli originali furono tolti di qui per permettere la visione delle belle sculture del sec. XIII o XIV, che portavano nel retro. Oggi sono visibili nell’atrio della Sacrestia.

SAN PROSDOCIMO e IL SACELLO

Immagine clipeata di S. Prosdocimo

Immagine clipeata di S. Prosdocimo

Prosdocimo, verosimilmente primo vescovo della chiesa padovana (sec. III-IV), è rappresentato in una «imago clipeata» di marmo (inizi del sec. VI),  riscoperta durante la ricognizione della sua salma nell’omonimo oratorio in S. Giustina (1957). Il suo culto e la devozione è confermata anche fuori del territorio padovano prima del Mille .  L’iconografia lo presenta con il pastorale e l’ampolla dell’acqua battesimale in mano: simboli della sua missione pastorale in città e in diocesi. L’antica liturgia ne celebra la fedeltà al Vangelo e all’insegnamento degli Apostoli.

 

 

Cupola del Sacello

Cupola del Sacello

Il Sacello è un cimelio di arte paleocristiana, preziosissimo per l’antichità, la completezza, le rarissime opere d’arte che custodisce. Fu costruito (tra il 450 e il 520) dal patrizio Opilione unitamente alla basilica, al sommo della cui navata destra era innestato, allo spigolo tra levante e mezzogiorno.
Orientato come la basilica, comunicava con questa mediante l’atriolo di occidente. È uno dei più begli esempi di quegli oratori, di cui l’antichità cristiana circondava i maggiori edifici di culto: oratori destinati a devozioni particolari di singole persone, fisiche o morali, e verso singoli Santi (qui, secondo un costume diffusissimo nei secoli IV-VI, si veneravano reliquie di Santi Apostoli e Martiri); e anche a sepoltura di insigni personaggi. Più sviluppato e più perfetto dei più fra i sacelli analoghi, il Sacello di San Prosdocimo consta di un quadrato centrale, cui sono innestate quattro corte braccia coperte di volta a botte; il braccio orientale, absidato; il quadrato centrale è sormontato da cupola emisferica ad esso collegata mediante quattro pennacchi a quarto di sfera. Come nella basilica annessa, le pareti erano rivestite di tavole di marmi preziosi; dall’imposta degli archi in su tutto era coperto di mosaici. Il braccio settentrionale immetteva in una sala, forse destinata ad accogliere sarcofagi di illustri personaggi. Nell’atrio ricostruito è possibile ammirare il Timpano di porta della basilica opilioniana (sec. V-VI), e un pluteo di marmo greco del sec. VI; rarissimo perché doppio.

Frontone triangolare

Frontone triangolare

In fondo: frontone triangolare (timpano di porta, sec. V-VI), con la iscrizione dedicatoria della Basilica e del Sacello: «Opilio vir clarissimus et inlustris, praefectus praetorio atque patricius, hanc basilicam vel oratorium in honorem sanctae Justinae Martyris a fundamentis caeptam Deo iuvante perfecit ». Nel sacello: a destra: altare di S. Prosdocimo (1564), sarcofago romano di marmo pario, trovato (1564) nel terreno sotto il pavimento (conteneva i corpi di due Vescovi, allora deposti altrove), e adibito da allora a custodia del corpo di S. Prosdocimo.  Nel paliotto: S. Prosdocimo giacente, tra due Angeli ceroferari: bella scultura di ignoto (1564 – Marcantonio De Surdis).

Il sarcofago di S. Prosdocimo

Il sarcofago di S. Prosdocimo

Sopra l’altare: stupenda immagine in marmo greco, di S. Prosdocimo (Sec. V-VI): rappresenta il Santo nell’eterna giovinezza del paradiso, simboleggiata dai due palmizi laterali. Porta la scritta contemporanea: « Sanctus Prosdocimus Episcopus et Confessor ».
In origine era la parte centrale della fronte di un sarcofago: tagliata poi per essere inserita in altro monumento (come lo mostrano i due battenti laterali) fu posata, come autenticazione, sull’arca in cui nel sottosuolo furono nascoste le ossa del Santo; scoperta nell’esumazione del 1564, accompagnò nel 1565 le sacre ossa entro l’altare, ove fu ritrovata nel 1957.
A sinistra, davanti all’altare principale: la preziosa « p e r g u l a» o iconostasi, l’unica del secolo VI che ci sia pervenuta integra. Uniche manomissioni: l’ultima colonna di destra, e i due capitelli estremi a destra e a sinistra, opera del Rinascimento. Come in tutte le antiche chiese, segnava la necessaria separazione tra clero e popolo, come oggi la balaustra, e nello stesso tempo accentuava il carattere sacro del presbiterio e dell’altare. È di marmo greco (si notino le colonne tutte di un pezzo con gli altissimi piedistalli, e l’arco di mezzo a ferro di cavallo). L’iscrizione, contemporanea, dice: «In nomine Dei. In hoc loco conlocatae sunt reliquiae sanctorum Apostolorum et plurimorum Martyrum qui pro conditore omniunque fidelium plebe orare dignentur (In nome di Dio: in questo luogo sono state collocate le reliquie dei SS. Apostoli e di moltissimi Martiri, i quali si degnino di pregare per il fondatore e per tutto il popolo di Dio).

Pergula o Iconostasis

Pergula o Iconostasis

Si ritorni in chiesa per la stessa via. Dall’arco dietro l’altare di S. Mattia: bello sguardo sulla maestosa e semplicissima crociera della Basilica.

Altare di S. Mattia

Altare di S. Mattia

CORRIDOIO delle MESSE e CORO VECCHIO

Corridoio delle Messe

Corridoio delle Messe

Entrando nel Corridoio delle messe per la porta accanto all’altare della Pietà, adorna di due belle colonne di marmo greco, si accede al Coro Vecchio, prolungamento della Chiesa medioevale, costruito negli anni dal 1472 al 1473 col lascito di Jacopo Zocchi. Di belle proporzioni e molto luminoso, consta di due campate a pianta quasi quadrata con volta a crociera; e di una abside formata da sette lati di un dodecagono regolare. Ha conservato la disposizione primitiva: ad oriente altare e presbiterio, e, davanti, il coro.
Si notino la volta dell’abside di bell’effetto; le sue lesene pensili; sotto gli archi della navata i curiosi capitelli. La decorazione delle volte è del sec. XV; il gran fregio a fresco attorno le pareti è del sec. XVI. Questa cappella è nobilitata da insigni opere d’arte, che ne fanno un vero museo. Il Coro ligneo è opera (1467-1477) di Francesco da Parma e Domenico da Piacenza, dei quali quasi nulla sappiamo. È opera d’intaglio e di intarsio.

Il Coro vecchio

Il Coro vecchio

Bello l’insieme e molto pregevole; vigorosa ed elegante l’opera di intaglio. Interessanti parecchi dei primi specchi, perché riproducenti edifici dell’antica Padova. Nel mezzo, il cassone per i libri corali: opera un po’ più antica del coro, del Canozzi di Lendinara.
Ancora nel mezzo: tomba di Ludovico Barbo; opera di un certo effetto, in pietra d’Istria.

Nel presbiterio, a destra,  statua di S. Giustina, in pietra tenera, opera probabilmenete di fine sec. XIV-XV.

 

Particolare intarsio del Coro vecchio

Particolare intarsio del Coro vecchio

A sinistra, arcosolio che protegge la statua giacente di Jacopo Zocchi, di Bartolomeo Bellano (1461); sopra: ambone per il Vangelo; è originale solo la parte inferiore della gocciola di sostegno, con i suoi finissimi ornati. Accanto: porticina intarsiata che immette all’ambone: degli stessi autori del coro. Bel pavimento (sec. XVI) di rosso di Verona, con intarsi di marmi rari e riporti di bronzo.

 

 

Il Crocefisso

Il Crocefisso

Funge provvisoriamente da altare un bel parapetto di cantoria, scolpito in legno di noce da mano maestra ha sostituito un altare, di cui sono rimasti i gradini. I pilastri addossati alla parete sostenevano la stupenda pala, racchiusa in una nobile cornice, che Girolamo Romanino dipinse per questo luogo (1513-14), e che nel 1866 un commissario regio tolse a forza contro i diritti e le proteste della Fabbriceria. Oggi è al Museo Civico sempre in attesa di tornare al suo posto d’origine. Sulla parete: bellissimo Crocifisso ligneo, d’ignoto autore del sec. XV.

SAGRESTIA

Madonna con Bambino

Madonna con Bambino

Nell’atrio della sagrestia, si possono ammirare nella nicchia  la Madonna col Bambino, bellissima terracotta della fine del sec. XV.

L’Architrave insieme alla lunetta romanica che lo sovrasta, che rappresenta la Chiesa che dà la bevanda della vita ai fedeli.

Lunetta romanica

Lunetta romanica

Sull’Architrave vi sono rappresentate:
1) l’Annunciazione; 2) la Visitazione; 3) la Natività del Signore; 4) l’Annuncio dell’Angelo ai Pastori; 5) l’Adorazione dei Magi.

L'Architrave

L’Architrave