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Pubblichiamo qui di seguito il Messaggio che il nostro Vescovo Claudio, assieme alla badessa del monastero di S. Daniele e agli abati di Praglia e Santa Giustina, hanno firmato in occasione della solennità di S. Benedetto.

https://www.diocesipadova.it/messaggio-congiunto-per-la-festa-di-san-benedetto-copatrono-deuropa/

Solo la speranza nell’impossibile rende possibile la vita dell’umanità
 

In un mondo in cui dilagano i conflitti e si palesano con la forza gli imperi politici ed economici, in un’Europa ferita dall’invasione in Ucraina, impaurita dal vacillare delle alleanze e preoccupata di riparare alla sua fragilità difensiva, cosa può dirci il “pacis nuntius” san Benedetto? “Annunciatore di pace” e “realizzatore di unione” fu infatti definito da Papa Paolo VI il santo monaco, fondatore del monachesimo in Occidente il cui pensiero ha favorito la nascita di una cultura europea, quando fu proclamato patrono d’Europa, nel 1964.

Oggi che la guerra sembra diventare una realtà inevitabile nel rapporto tra le nazioni e la pace si riduce a una tregua tra una guerra e l’altra, è proprio nell’insegnamento di san Benedetto che troviamo l’ispirazione per poter ancora parlare di pace, come esperienza che porta oltre il pragmatismo del possibile. Parlare e adoperarsi per capire come affrontare i conflitti, limitarne gli effetti e le conseguenze, come agire la deterrenza e la difesa, è porsi nella sfera del possibile. Parlare e adoperarsi per la pace è osare, sperare e realizzare ciò che appare impossibile.

L’Unione europea presentando, a metà giugno, il piano di sburocratizzazione e alleggerimento normativo per accelerare gli investimenti nella difesa e così incentivare la spesa pubblica e privata in questo settore, esplicita un pensiero di fondo: si è costretti ad agire solo in base a come il mondo è e l’unico modo per garantire la pace europea è essere pronti a difendersi rapidamente. Sembra così che non vi sia più spazio per altre prospettive.

La memoria della storia e il desiderio sul futuro ci permettono invece di comprendere il presente per quello che è senza rinunciare a trasformarlo in quello che vorremmo fosse. L’illusione sta nel pensare che sicurezza e difesa siano sinonimi e che la pace si ottenga con il potenziamento della difesa bellica. Senza l’anelito della speranza che orienta al bene e senza il coraggio della conversione non sarà mai garantita la pace per nessuno, ma solo alcuni periodi di assenza di guerra per qualcuno.

San Benedetto ci offre una prospettiva di pace che non è un concetto astratto, ma una verità da perseguire e da vivere, è la pace per cui Cristo ha dato la vita, quella che realmente si può donare e realizzare.

La pace va invocata nella preghiera e va annunciata come profezia contro l’idolatria della guerra. Chiedere a Dio il dono della pace significa innanzitutto chiedere la conversione dei nostri cuori e la purificazione delle nostre parole, sapendo che la parola della pace, per non rimanere falsa, deve diventare azione efficace, capace di costruire giustizia, unità, comunione.

La preghiera condivisa permette di unire le menti e i cuori, ponendosi come premessa per cercare insieme i percorsi di pace; non ci lascia smarriti e soli di fronte alle tragedie, ma ci unisce per dare un contributo efficace alla fraternità universale.

E proprio nella regola benedettina troviamo alcune indicazioni utili su come operare la pace, che va cercata e perseguita con libertà e dedizione a partire dai comportamenti quotidiani che rifuggono il male e lo vincono con il bene. Potesse l’insegnamento di san Benedetto di «non seguire l’impulso dell’ira; non serbare rancore; non tenere inganno nel cuore; non abbandonare mai la carità» orientare la vita di ciascuno e in particolare di chi ricopre ruoli di potere!

La pace porta in sé un’urgenza, quella della riconciliazione: «Tornare in pace prima che tramonti il sole con chi si è in discordia», perché è fasullo pensare che le cose si aggiustino da sole o col tempo; le fratture vanno invece riparate col perdono e la riconciliazione. Ciò vale anche per i conflitti su scala mondiale spesso originati da problemi che non sono stati affrontati e risolti nel tempo opportuno e che poi determinano le urgenze di sempre nuove e più intense difese e aggressioni.

La pace che ci insegna san Benedetto non ha scorciatoie: non la si edifica nell’omologazione, nella forzatura di uguaglianze indebite, nella sopraffazione, ma armonizzando le differenze, servendo le alterità, riconoscendo i bisogni di ciascuno e prendendosene cura. Una visione quindi che incoraggia l’impegno di chi si adopera, sfidando i contesti avversi, perché prevalgano il multilateralismo, il riconoscimento di un diritto diffuso internazionale e si costituiscano – e siano riconosciuti – organismi mondiali garanti della giustizia internazionale e della pace.

Un ulteriore insegnamento lo troviamo nell’organizzazione della vita nei monasteri benedettini, luoghi non di chiusura e di esclusione tra eguali accomunati da elementi identitari, ma di accoglienza e di ospitalità del pellegrino e dello straniero, del diverso che sconvolge le abitudini consolidate e testimonia che la pace non è opera delle nostre sicurezze, ma è dono di Dio e umile ricerca di comunione. La pace ha bisogno della capacità ad accogliere e armonizzare sguardi differenti, anche quando appaiono alternativi e incomponibili. In questo gioca un ruolo fondamentale l’autorità dell’abate finalizzata non semplicemente al buon funzionamento o all’efficienza del monastero quanto piuttosto a salvaguardare la pace e la carità. Per san Benedetto pace e carità sono inscindibili, non c’è pace senza giustizia e carità. Infatti come ci ricorda la Pacem in terris la definizione di pace non è assenza di guerra, ma è bene comune, come garanzia dei diritti fondamentali di ogni persona e di ogni popolo.

Ecco perché investire in educazione e cultura, salute e sanità, lavoro dignitoso e benessere, cura del creato e innovazione significa investire nella sicurezza e nella pace, investire invece nelle armi e in relazioni politiche ed economiche di forza significa investire nelle diseguaglianze e nella guerra.

Vorremmo uscire dal mito della sicurezza in cui ci paralizza la paura e non possiamo accontentarci di pianificare la sopravvivenza, ma invece progettare la nostra vita. Ciò richiede l’accettazione della nostra finitudine, la realtà del rischio, la necessità della virtù della speranza.

Potesse l’Europa avere la capacità di immaginare ciò che ancora non c’è, di sbilanciarsi e proiettarsi al di là della situazione con le sue ristrettezze e urgenze, per guardare il male senza lasciarsi inghiottire!

Potesse l’Europa lasciarsi guidare dalla virtù della speranza, che non è un fragile desiderio personale, ma è una forza capace di muovere l’azione sociale e questo accade quando ci sono autorità capaci di trasmettere la bontà del futuro.

San Benedetto ci aiuti a convertire il bisogno di difesa in anelito di speranza e l’illusione della sicurezza nella verità della Salvezza!

+ Claudio Cipolla, Vescovo di Padova

Madre Maria Chiara Paggiaro, Abbadessa di San Daniele

+ Dom Stefano Visintin, Abate di Praglia

+ Dom Giulio Pagnoni, Abate di Santa Giustina

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